La dolcissima condanna a morte della neve

Andiamo a correre che il telegiornale ha detto che ci farà bene. Io mi tolgo i cerotti, voglio provare a cadere, voglio riaprire le ferite, vendere le croste e comprare le pietruzze nel ginocchio, così le colleziono e piango a casa quando le tolgo. Ora che è quasi Natale le luci fuori non mi fanno dormire, sono così luminose che colorano il cielo viola e rosso, acquarellato dai miei pennelli rotti e dalle fabbriche dei disoccupati specializzati. Tu non hai niente da fare e ti immagini rivoltosa, guardi la televisione ed io ti parlo e tu non mi senti. Gli studenti a Roma menano il gendarme con il libro grande e cantano, poi ballano e bruciano gettando fiori. Mi dici che se fossi stata nel pieno Sessantotto avresti scopato dentro Filosofia occupata, sotto una coperta, con sei esami dati e la media dei ventuno. Intanto io continuo a guardare fuori, la gente cammina impegnata per la strada. La neve è già sporca. È scesa silenziosa e lenta. Domani con il giorno e il nuovo sole firmerà la sua condanna a morte.

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