Sul senso della Solitudine e della sua vittoria.

Ero lì immobile a fissare le sue zampette rigide, quella coda immobile. Sembrava pietrificato e non rispondeva. Io continuavo a fare il suo nome a intervalli regolari di trenta o forse quaranta secondi. Intanto piangevo. Anzi, non piangevo. Piovevo: "Vecchio mio per favore.." - non sapevo più cosa dire, cosa singhiozzare. Non ebbi nemmeno il coraggio di avvicinarmi un solo secondo a quel corpicino relitto ed iniziai a pensare a quando lo portai in casa. A quanti giorni passarono prima di dargli un cazzo di nome che avesse un senso e alla fine lo chiamai Pietro, semplicemente. Come il primo fottuto Papa, come Pietro Vierchowod detto "lo zar" che giocava con i blucerchiati negli anni ottanta. Ora era lì, semplicemente immobile e vinto, senza alcuna possibilità di riscatto. Dentro quegli occhietti potevi trovare un mare intero, ed ora erano vitrei senza significato. Cosa fare? Dove portarlo? Come darmi scampo?
Io lo giuro, stavo impazzendo. Volevo morire lì in quel momento con incisa sulla mia pelle l'immagine di quando mi sedevo sulla sponda del letto e lui metteva il muso tra le mie gambe guardandomi dritto negli occhi, ascoltando ogni mia parola. Volevo annientarmi con quel ricordo nel cuore. E inventavo favole e inventavo storie, raccontavo dei marinai e dei pirati. Raccontavo di Cristoforo Colombo, dell'Immacolata Concezione fraintesa dal più grande Stato cattolico del Mondo, dell'ultima volta che volevo fare l'amore con Giada e lei mi fermò perché "voleva parlare"...E le stagioni trascorsero con lui ad ascoltarmi. Gli anni volarono via. Penso che capisse ogni mia parola, penso che ogni tanto se la ghignasse di nascosto. Adesso ero lì che lo guardavo di sbieco, non avevo nemmeno il coraggio di allarmare qualcuno. Mi aveva abbandonato e gli occhi raccontavano tutta la sua storia.
Lasciai tutto lì com'era, allo stesso modo in cui avevo ritrovato quella disgrazia. Senza spostare una virgola perché semplicemente non sapevo che fare. Abbandonai sul divano la sacca da lavoro con i panni sporchi delle otto ore, infilai una tuta che ancora piangevo. Corsi in bagno a congelarmi il volto con dell'acqua fredda. Cercavo di calmarmi. Il tempo di prendere le chiavi dell'auto avevo già abbandonato quella casa che mi aveva tolto l'unico confidente che avevo. Le sigarette. Avevo bisogno delle sigarette. Giravo per i viali come un pazzo, dopo cinque fermate avevo perso in ordine: la voglia di vivere, la pazienza, cinque euro mangiate da un distributore preso a calci e pugni e la tessera sanitaria dal distributore successivo. Avevo come ultima possibilità il Bancomat ma non era il caso di sfidare la fortuna.
Presi la statale e dopo un chilometro ero in riserva. Accesi la radio che non avevo ed iniziai a cantare per non pensare: Walk in silence, don’t walk away, in silence. See the danger, always danger. Endless talking. Life rebuilding. Don’t walk away. Al terzo chilometro un uomo sporgeva il braccio tentando di fermare qualche auto. Era un autostoppista e non me ne fregava un cazzo. Avessi avuto venti euro sarei andato anche a puttane. Avrei caricato chiunque, che salga. Inchiodai ed aprii lo sportello per lasciarlo salire. Portava con sé una borsa piena e la barba vecchia di tre o forse quattro giorni. Poteva avere al massimo una quarantina d'anni:
- “Dove vai?” - chiesi un po' meccanico con l'intento di accompagnarlo per un po'.
- “Dove vuoi.”
Che risposta era? Cosa voleva significare? Rimasi totalmente interdetto. Misi la prima ed iniziammo a muoverci riprendendo la statale per il mare.
- “Io Comunque mi chiamo Davide, piacere. Non hai idea dei tizi che ho visto stanotte facendo l'autostop, da non crederci!”
- “Io Massimo. Se è da non crederci allora non raccontarmi nulla per favore. Hai una sigaretta?”
- “Dovrei avere direttamente un pacchetto nuovo” - estrasse dalla tasca il suo pugno ma in mano non stringeva nulla.
- “Tieni” - disse sicuro
- “Sei scemo per caso? Ce l'hai questa cazzo di sigaretta?!”
Si prese un attimo per osservarmi, ed io capii che stava per dire qualcosa ma non mi volli mostrare spazientito, dovevo calmarmi e capire. Una serata emotivamente distruttiva stava diventando, di colpo, strana:
- “ Vedi Massimo, mi permetto di darti un piccolo consiglio: quando le cose ti sembrano che non abbiano un senso, nemmeno minimo, non andare in escandescenza, non cercare ragionamenti astrusi, vuol dire che un senso non ce l'hanno. Stai sereno e vai avanti. La vita, il Mondo..questo intricato ed inspiegabilmente complesso Mondo, non ha né un capo né una coda. Non può essere raccolto nella sua interezza in nessuna teoria. Gli esseri umani si incontrano per un gigantesco ed astronomico caso come quello che stasera ti ha fatto incontrare me in questa strada di provincia. Un autostoppista che ti ha offerto una sigaretta inesistente da un pacchetto inesistente. Incidenti in questo caos incredibile di uomini che schizzano come scintille impazzite. Cause ed Effetti che si concatenano quasi inafferrabili. Non chiederti il perché delle cose, e se puoi vivi nascosto. Adesso accosta qui in questa piazzola di servizio, il pacchetto lo lascio sul cruscotto, te lo regalo. Io non fumo”. Detto questo, prese il suo bagaglio minimo e si congedò.
Rimasi pietrificato, senza dire nulla, senza respirare dal momento in cui iniziò a parlare. Cercai di fare manovra e tornai indietro verso casa con l'occhio sul contachilometri della riserva. Appena rientrato sedetti sul divano, Pietro era ancora lì in terra ed io ero di nuovo disperato. Era tutto incredibilmente assurdo: avevo preso l'auto per prendere le sigarette, winstone rosse. Prima avevo perso definitivamente la voglia di vivere, poi la pazienza. Il primo distributore mi aveva fregato cinque euro, il secondo la tessera sanitaria. In riserva ho preso la statale e ho caricato per sfizio il primo sconosciuto che ho incontrato, con cui non volevo minimamente avere a che fare o parlare. Volevo solo una sigaretta e lui, gentilmente, cosa ha fatto? Mi ha regalato un intero pacchetto. Inesistente. Non prima di avermi detto che se le cose mi appaiono senza un senso, vuol dire che il senso, in verità, non ce l'hanno.
Tenni la mia testa tra le mie mani senza aver capito minimamente cosa volesse dirmi il fato o un Dio, con questa serata. Sentivo però nel mio petto, ripensando a tutto, una serenità maggiore, una calma da resa. Da guerra finita con una sconfitta amara solo per la mia perdita, ma tutto sommato accettabile per il mistero dell'Esistenza. Tutta una gamma di significati schiudeva ora dinanzi ai miei occhi come nuova vita. Con un gesto simile ai fiori di Primavera. Presi una tovaglia di lino che avevo nella cassettiera, intonsa. Commosso avvolsi il corpicino freddo di Pietro con questo lenzuolo come fosse un sudario. Lo scesi delicatamente e lo trasportai in auto. A cinque minuti, in aperta campagna, diedi una degna sepoltura ad un fratello sotto l'ombra eroica di un pino silvestre. Ricoprii la buca per celarla ad occhi indiscreti. Lasciai lì dei fiori raccolti, piansi ancora molto prima di tornare all'auto ma tentando poi di riaccenderla, mi resi conto che ero rimasto ufficialmente a piedi. “La notte è lunga” - mi dissi. E mi chinai a contemplare la terra, lasciando dei piccoli segni poi presi a camminare e scrutai il cielo. Non avevo ora nessuno ad attendermi, né delle risposte da cercare. Potevo fare con calma. Estrassi dalla tasca un pacchetto di nulla, finsi di tirar fuori una sigaretta e me l'accesi con una fiammella solo sognata. Feci grandi boccate.
Fu in quel momento di tempesta nel cuore che assaporai per la prima volta l'asprezza invitta della Solitudine.

Commenti

  1. Mi hai fatto piangere, e pensavo ormai che nulla che riguardasse un cane potesse più farmi questo effetto. Mi sono solo illusa, forse, di aver già pianto abbastanza, come se la tristezza fosse u serbatoio esauribile. E ora? Che nome ha il tuo compagno eroico che combatte contro la tua solitudine?

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    1. Quello vero, non quello letterario che purtroppo ha terminato il suo percorso, si chiama Filippo Cosini. Sanissimo grazie a dio.
      G.

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  2. Non è solo il dolore per il proprio cane, intenso, indimenticabile... C'è anche questa ricerca di un senso che fa di questa tua pagina un capolavoro.
    Ciao e grazie.
    Lara

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    1. Ognuno cerca di dare il proprio senso alle cose. Lo si può cercare indagando i fatti del mondo, oppure semplicemente si raccontano delle storie senza avere la pretesa di giungere a conclusioni di qualsiasi sorta. Una storia che semplicemente ci presenti il problema. È già tanto quando, raramente, si riesce a delinearlo con chiarezza.

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  3. Dato che mi leggi, sai che amo gli animali e vivo per il mio cane.
    Mi hai fatto commuovere. Sei coinvolgente ,intelligente. Leggo libri scritti con i piedi e poi ci sono persone come te,che scrivono da Dio! Non arrenderti mai!

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    1. Ti ringrazio infinitamente Nicole, sei sempre molto gentile.
      G.

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  4. Davide ....è un miracolo , anche io lo vorrei incontrare , è la parte più commovente e più "piena " del racconto , questa ricerca stupida del senso delle cose , di certi eventi... la rabbia , la frustrazione che ne deriva ci fa perdere di vista la bellezza che è in ogni cosa , è solo nascosta a ( anche eventi che ci paiono brutti, negativi la racchiudono ,la contengono , ma noi ci ostiniamo a prendere, a scorgere solo il peggio...).
    Guido sei .... magico ? Si per me sei questo :)
    ( Ste )

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  5. Un racconto straordinario ricco di spunti di riflessione, tocca in un solo istante tutti i risvolti umani generati dalle più diversificate situazioni. Il dolore che genera rabbia, incomprensione, un percorso metaforico creato sull'immaginario che si trasforma in filosofia di vita, il condizionamento sugli eventi che avviene di conseguenza ad una sorta di concatenazioni apparentemente racchiuse nel caos ma che alla fine contengono sempre un loro senso, come gli elementi dello spazio che sembra si muovano disordinatamente ma che invece rispondo ad un ordine ben definito.
    Non voglio fare un lunghissimo commento, voglio solo farti i miei complimenti.

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    1. È un pensiero bellissimo ,ti ringrazio Alessandra per essere passata di qui. A rileggerci.

      G.

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