So dove sei adesso e dove potresti trovarti alle quindici.
Sicuramente Michele ora si è alzato.
Si tira su e ricade in avanti nel letto per la stanchezza, sempre a
fare le ore piccole! Ed è sicuro, posso giocarmi ciò che ho, che si
è alzato e ha trovato una fila da tangenziale per il bagno.
Coinquilini testoni che non si alzano nemmeno con le cannonate,
perennemente in ritardo. Il tempo di infilarsi la camicia e annodarsi
la cravatta come un cappio (dieci anni che cerca di portare in modo
naturale una cravatta e ancora non sa legarla) che è già tardi. Tra
dieci minuti corre a prendere la bici e se non gliel'hanno rubata
arriva con venti minuti di ritardo in Facoltà per la revisione delle
tesi, altrimenti fa aspettare i ragazzi anche un'ora. È sempre il
solito. A ragionare sul 'senso della Storia' quando un senso non ce
l'ha – me lo rivelava sempre. E poi a ridere come due scemi
disperati. Ma ora non più. O meglio, io rido da sola. Nel
pomeriggio, oggi, saprei dove incontrarlo. A pranzare verso le
quindici al Saccaria, con calma, leggendo il quotidiano se nessuno lo
trattiene. Poi torna in Facoltà a scribacchiare quel lavoro che
aveva iniziato su Schopenhauer e Luckàs o come cavolo si chiamava
nemmeno mi ricordo. Chissà se poi l'ha finito. Vive sulle nuvole,
quello! Oggi, dopo così tanto tempo, ho dei buchi nella sua giornata
che non riesco più a colmare con l'immaginazione. Io so che lui è
da qualche parte là fuori, come un viandante stanco. Che si impicca
in quella cravatta che non lo lascia respirare a cui io scioglievo e
rifacevo pazientemente il nodo ogni mattina per poi baciarlo come la
prima volta.
A pensarci bene, oggi rifletto sulle sue presenze in
posti a me sconosciuti, di una vita lavorativa della quale non conosco praticamente nulla. Penso alla legatura della cravatta come una
presenza, come un qualcosa che ho, ma il mio vero luogo quotidiano,
d'incontro, è oggi il silenzio di una metà di letto, del divano
vuoto, della libreria spoglia per trequarti, di una bici mancante, di
una tazza da thè scomparsa e di tante piccole cose che possono
essere una sveglia, un bracciale o un Filo di Scozia spaiato. Che me
ne faccio di un Mezzo Windsor se raccolgo minuziosamente le assenze?
Se lui fredda a morte la sera regalando quello sguardo che era mio,
ardentemente conquistato, alla prima che passa e che non saprà
coglierne le sfumature, cosa me ne farò di questa sofferenza? Io ho
le mani piene di vuoto e il mio cuore è stanco.
Ora piango. Ma a questo punto della
storia succede sempre. Ed è una cazzata quando ho detto poco fa che
rido da sola. Io non rido più e voglio liberarmi di lui. Colmare
questi buchi per poter riavere una metà in più di letto, e
dimenticare le cose inutili come il nodo di una cravatta. Smettere di combattere una guerra già
conclusa e vinta dai cattivi. Io faccio parte dei buoni che non vincono mai.
Se tu potessi leggermi ora nella mente, ascoltare queste mie parole, capiresti che non posso più liberarmi. Non ti chiedo però di venirmi in soccorso. Mangia qualcosa alle quindici al Saccaria e sii sereno per favore.
Io ora, penosamente, ti bacio.
Solo l'amore logora così. Non c'è mai nulla di completamente sano in un sentimento che richiede il donare completo di un organo vitale, il cuore per esempio. Il cervello, a volerne dire un altro.
RispondiEliminacerto, assolutamente vero. È un po' farsi a pezzi.
EliminaIl tempo ci libera ...arriverà il momento in cui lei non saprà più dove sarà ora, ne dove sarà alle 15, e quel penosamente sarà meno penoso e poi sarà ricordo che non fa male . Mister time !( Ste )
RispondiEliminaQuoto Maraptica. Il masochismo non lo capisco.
RispondiEliminaCristiana