Come posso sapere cosa, un giorno, mi servirà? (stream of consciousness IV)

Dario dorme. È disteso travolto da un ammasso di coperte informi e maleodoranti. Il fetore è quello tipico di ciò che è stipato e dell'alito pesante di un dopo-sbornia infelice e pigro. Inconsapevolmente si piega su se stesso, inarca la schiena, poi torna supino ed il lenzuolo tutto intorno lo avvolge coprendo le disgrazie. È un ritratto tragico delle movenze infelici ed animalesche nel sonno alcolico. Dario ora si sveglia, cerca di aprire gli occhi nel tentativo di resistere alla cattiveria e alla puntualità del Sole tra le fessure della tapparella. Si gira e lo fa una volta, poi la seconda e la terza, fino a quando sente in bocca l'arsura ed il retrogusto marcio del vino bianco che fino a qualche ora prima sembrava nettare divino. Piegato e decadente, cercando di sostenere la schiena, porta la proiezione di se stesso in cucina e sorseggia acqua con l'avidità di chi raggiunge sano e salvo l'oasi nel deserto, anche se questa, ovviamente, non è un'oasi: è qualche metro quadro di merda, arredato male e l'acqua si paga tutta, sapore di cloro compreso come regalo.
A luci spente, mentre il primo sole furtivo nell'appartamento cercava di non farsi sentire, Dario ed il suo dopo-sbornia stentavano, goffamente, di trovare la via del letto in modo dignitoso, evitando gli specchi che potessero ricordargli vagamente i propri fallimenti, e così fu. Riacquistando i veli, li rimise intorno a sé alla meglio, tirando su la coperta, lasciando spazio libero per la bocca ed i suoi grandi respiri tossici. Prima di chiudere gli occhi per superare la nausea, si gira e prende il cellulare. Ancora sono memorizzati e non letti, i messaggi e le chiamate della sera precedente: «Dove sei?», «Dove ti trovi a quest'ora della notte? Sono preoccupata chiamami appena puoi. M.», dove 'M' sta per Maria: i 60kg di speranze, sogni e delusioni che occupavano non abusivamente, l'altra metà del letto di Dario, uno spazio piccolo fatto di silenzi, di qualche tradimento infelice, di cioccolato a latte con le nocciole e lexotan prima delle stelle. Dario si volta e prova a fissarla con la tacita complicità del sonno di lei, che la rende impotente di fronte allo sguardo di lui. D'un tratto pensieri ambigui lo tormentano nel guardarla distesa di fianco: le osserva i piedi perfettamente smaltati che molte volte, intimamente, aveva baciato, le cosce ben tornite, i fianchi sui quali aveva passato più di una notte, ed infine, scalpitando avido, su per il ventre fino al seno, leggermente sceso proprio di chi sui cartelloni pubblicitari non ci ha mai messo la faccia. Quelle carni lo tormentavano, eccitavano le sue notti e per un momento si lasciò andare al ricordo dell'Amore consumato negli anni, così tante volte provato, migliorato, accompagnato dalle lettere in corsivo, al sesso sporco appoggiati contro la porta di casa, socchiusa. Gli anni universitari, gli stimoli intellettuali, tutto annegato centinaia di bottiglie fa, disperso tra i pianti, tra i curriculum consegnati ed i «le rifaremo sapere».
Mentre tutte queste idee tormentavano la sua mente, Dario si prese un secondo in più per contemplare lo sguardo stanco di Maria che riposava, ignara del fatto che lui fosse rientrato da poche ore. Era un viso dolce, non perfetto, ma armonico e gradevole, di poche pretese e lui fino a qualche anno fa non avrebbe chiesto altro. Prese coraggio e si avvicinò di più, ora poteva sentire il suo respiro regolare e calmo, sentiva così chiaramente i processi meccanici di quel corpo che rispondeva agli stimoli naturali del cervello, all'interno di un grande e mistico processo che nei secoli l'uomo ha, giorno dopo giorno, compreso. Dario la vedeva lì, immobile e vinta, sola nel suo sonno, il respiro la manteneva nel mondo dei vivi, quel piccolo gesto che ridava vigore al corpo, lui per la prima volta lo percepiva così fragile, ineffabile e breve; vedeva il gesto della respirazione così insignificante da riuscire addirittura a meravigliarsi della persona che aveva accanto. D'un tratto guardò se stesso, osservò il suo corpo non più aitante e sodo come quando si hanno vent'anni e il panico ebbe la meglio anche sul neonato mattino. Comprese di sopravvivere grazie al medesimo gesto del respiro che risuonava immenso nella stanza:
«Siamo tutti ugualmente miseri» - piagnucolò allora tra sé.
Dario si sollevò, ora il ricordo del vino era meno nemico, si stavano allontanando il dolore e la nausea; andò in bagno e svuotò il suo corpo, la sua vescica ed in quel gesto ignobile e fisiologico guardò la trama felice dei triangoli e dei quadrati verdi davanti a lui:
«Come posso scegliere cosa voglio per la mia vita se non ho termini di paragone, se la mia realtà è sempre stata questa.. Come posso sapere cosa, un giorno, mi servirà?».
Dario si vestì furiosamente cercando di non far rumore, mentre fuori il buio perdeva di misura contro la luce, lasciò gli ultimi duecento euro sopra il tavolo ed un post-it di parole sgualcite e senza vergogna. Due ore dopo Maria era sveglia, piangeva a terra disperata stringendo nel pugno un po' di carta sporcata da una Bic: «Questi sono per l'affitto. Perdonami, addio. D.» - recitava rosso di vergogna.
Fuori la Surmodernità, intanto, schiudeva a nuova vita: gli impiegati meccanici negli uffici, i cassaintegrati feriti a morte dal Capitalismo.
Maria avrebbe pianto per almeno due primavere.

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