Devi aver sofferto molto.
All'occupazione di Discipline
Umanistiche incontrai Daria: bella come la morte che segna di rapina; come un lampo in notturna; come un sabato adolescenziale e forse il
tuo rossetto. Con la sua apparizione nel caos ideologico delle
ventitré, caddero rovinosamente ai miei piedi una serie di storie
assurde fatte di romanticherie di seconda mano, di pizze consumate a
metà e di Marco imbottito di chemioterapici che partì per mondi
lontani con una tipa stesa di fianco al
suo letto: una ragazza che non apriva quasi mai gli occhi e quando lo
faceva veniva giù il finimondo e la Primavera (o qualcosa del
genere). Tuonò selvaggia un mucchio di altre storie
sconnesse dall'alcool e di importanza relativa, quando mi chiese cosa
studiassi e cosa facessi lì. Filosofia, risposi. Quando mi domandò
del mito della caverna (ed io le dissi subito che si trattava
più precisamente di un'allegoria), le spiegai che quegli
uomini legati, nell'atto di contemplare i rapporti di forza tra le
ombre proiettate nel fondo della caverna, più credevano a ciò che vedevano più si allontanavano dalla Verità. Più comprendevano il senso di quelle ombre, più dimenticavano la nostalgia di una luce
primordiale e di tutto ciò che si celava dietro le loro spalle (ovvero
una realtà lontana dagli spritz ad un euro, lontana dal vino dei pakistani
venduto dal Collettivo Autonomo e dai sabato sera piovosi). «La
Nostalgia è forse il motore del nostro trascinarci» - tagliai
corto senza troppa voglia di rimanere tra quelle rivendicazioni
sociali, nel bel mezzo di una pretesa di spazi in autogestione. «Ho
ventiquattro anni ma sono un vecchio reazionario» - dissi ridendo
mal celando una certa convinzione. «Allora devi aver sofferto
molto» - mi disse.
E aveva ragione?
RispondiEliminaQuando sono triste scrivo.
EliminaQuando sono felice esco.
G.