Attendere: infinito del verbo 'Amare'.
Sandro chiede un altro bicchiere
ancora, il barista glielo serve. Ha gli spiccioli esatti per chiudere
il conto e bersi le ultime tre dita di amaro con calma. Sorseggia.
Ora accade che Sandro inizia a toccarsi la barba e a guardarsi
attorno. C'è Luciano Gaspari al bancone detto “Palletta”, alto
un metro e largo tre. Pare che il medico gli disse di moderare la
quantità di vino rosso e di limitarla ai pasti in un solo bicchiere.
Da allora Luciano Gaspari che è si un alcolizzato ma anche una
persona seria, si procurò in tempi non sospetti un bicchiere da
litro (un boccale da birra, lercio) e come promesso al medico, non
salta nemmeno una bevuta da dieci anni. Un bicchiere ai pasti allunga
la vita, son cose che si sanno. Seduto invece nell'angolo del bar a
far scappare un bestemmione da fa scivolare in terra uno stormo di
Cherubini, Giuseppe Pinnesi detto “Pinno” tira le carte in tavola
e si fa un altro bicchiere: “un'altra partita che ci rifacciamo
solo la primiera” - spazientito borbotta stringendo nel pugno delle
piacentine. Sandro osserva, socchiude gli occhi, ridacchia tra sé e
continua ad accarezzarsi la barba. Entra ora con il giornale in mano
Marco Romani detto “Il Professore”. Ex insegnante di Matematica
liceale. Da un dottorato concluso con successo in Meccanica dei mezzi
continui, alle puttane da appartamento. Latino perfetto. Quando è ubriaco e non
riesce a tenersi la lingua, millanta anche la celebre "ripassata". Se
ne dicono di panzane quando non si hanno più storie da raccontare
oltre le solite amarezze. In silenzio, invece, Benito Orsini detto
“Cina” (l'astuto lettore capirà autonomamente che il soprannome
è dovuto a tratti somatici vagamente orientaleggianti) al bancone
segna su della carta una delle sue poesie che poi rivende ai turisti
la sera, per tirar su qualche soldo e comprarci l'eroina. A
sessantacinque anni ancora l'eroina. Da non crederci. Sandro intanto
termina il bicchiere, si sfrega ancora la barba incolta, lunga da far
paura. È un giorno strano. Il sole si nasconde dietro i palazzi e
preannuncia la sera mentre il cielo si colora di grigio fumo che è
lo sputo delle fabbriche a carbone e dei filtri stanchi.
Il suddetto Luciano “Palletta”,
ubriaco come un figlio di puttana, si avvicina e abbatte la quiete
arrestando la premurosa carezza di Sandro alla barba: “Stronzo
perché non ti radi invece di girare come uno zingaro?! È lunga da
far schifo!”. Ci sono gli estremi per una reazione disgraziata. La
provocazione, la rottura di coglioni in un momento di pace. C'è
tutto quel che serve per una rissa da bar di Caracas, ma Sandro è
stanco, di tutto ed in primis delle polemiche. Risponde sapendo di
non essere capito, anzi si sforza di risultare quanto più possibile
spocchioso e a mezza bocca replica:
“Ho smesso di tagliarla per tenere il conto dei giorni che passano. Per ricordare bene quest'attesa. Perché vedi quando qualcuno poi ipoteticamente ritorna, bisognerebbe sempre ricordarsi dei giorni trascorsi ad attenderlo”.
Il professore ha sentito tutto e amaramente comprende ma finge disinteresse. Palletta, avvicinatosi da bastardo ubriacone come pochi, lo fissa per un istante e poi si allontana come se avesse ascoltato una lingua strana, un idioma incomprensibile figlio di qualche generazione diversa dalla sua, proprio di una nuova sensibilità.
“Ho smesso di tagliarla per tenere il conto dei giorni che passano. Per ricordare bene quest'attesa. Perché vedi quando qualcuno poi ipoteticamente ritorna, bisognerebbe sempre ricordarsi dei giorni trascorsi ad attenderlo”.
Il professore ha sentito tutto e amaramente comprende ma finge disinteresse. Palletta, avvicinatosi da bastardo ubriacone come pochi, lo fissa per un istante e poi si allontana come se avesse ascoltato una lingua strana, un idioma incomprensibile figlio di qualche generazione diversa dalla sua, proprio di una nuova sensibilità.
Sandro marciva
tra quelle quattro mura sudice, sporche del sozzume di quei quattro etilisti irredenti. Quattro di numero e dimenticati per strada da un Dio
annoiato tra le pieghe dell'Universo.
Un'ultima passata della mano tra la
barba irregolare, una stretta poi una carezza da destra a sinistra:
“Io chi sto aspettando?”
Fantastico scritto , mi ricorda i personaggi , gli ambienti amati dal mio De Andrè ...e mi hai anche fatto sorridere , direi ridere per alcune frasi . Strano Guì è la prima volta che inserisci questa vena humor . Bel pezzo , l'ho letto pure a Sandro , ti dirò in privato che mi ha detto .... :) ( Stè )
RispondiEliminasolo il titolo è già un crack!
RispondiEliminasei straordinario...k...
RispondiEliminaMi piace tanto.
RispondiEliminaArriva un momento, senza volerlo, tutti intorno ti sembrano dei falliti.
Si aspetta qualcosa quando non si è in pace con se stessi? O si aspetta qualcosa a prescindere perchè si vuole dare un senso? Io non lo so ma quello che hai scritto mi piace un sacco. E poi, non c'entra nulla ma... Buon Natale.
RispondiElimina@stefy: grazie per essere passata. Ogni tanto ci vuole anche una vena umoristica
RispondiElimina@Vale:già spesso accade. È il momento esatto della 'nausea'
@Maraptica: come sempre le tue domande impongono una riflessione ulteriore. Forse si aspetta per entrambe le cose. Per la pace, ma anche per ritrovare un senso che sei disposto ad attendere. La barba incolta è un modo come un altro per tenere il conto. È come scrivere un diario.
Se non farò un altro post per il 25, e forse lo farò, vi auguro ora buone feste. Ed un sereno natale per i credenti.
Un abbraccio, e tanti auguri...
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