coloratissimi pomeriggi grigi.

C'erano delle sere, ogni tanto, che piangevi senza motivo, ed io allora non osavo guardarti, ti abbracciavo quando eri di spalle e ti scioglievo i capelli per fare qualcosa, per avere un alibi. Io non ti capivo come tu non capivi quando mi venivi a trovare in biblioteca che non riuscivi a leggere i testi dei filosofi greci. Ti mancava la codifica per quel linguaggio strano, per quei simboli strani ma che ti sembravano più belli e dolci. Io allo stesso modo non riuscivo a leggere le tue metafisiche, i pianti, l'arché delle tue cose. Tutto, spesso, era silenzioso e quando scendeva il buio nei nostri pomeriggi, ci sentivamo sempre soli anche se non avevamo il coraggio di parlarne. Quando mi chiamavi al cellulare ogni tanto non rispondevo, non sapevo che dirti, non sapevo con quale menzogna mascherare la solitudine di due persone consapevoli delle giornate sempre uguali, a bagnarci i piedi e le scarpe, nei vicoli di Bologna durante la stagione delle pioggie: "Se fossimo delle piante ora toccheremo il cielo e gli idrocarburi incombusti con un dito" - ti dicevo, e tu ridevi pazza. Scherzavo sulle nostre scarpe zuppe. Ed io il cielo sporco come monolocale lo sognavo veramente per noi due, per il nostro amore di pezza, per le scopate fatte male, per i baci sporchi, per le notti, ma anche per quelle giornate in cui ci sentivamo puliti. Ci sono stati dei momenti dove disegnavo con la Bic dei mostri allucinanti, oppure trasposizioni etniche di filosofi tedeschi che mi stavano sul cazzo, e a quelle immagini io davo il nome dei giorni della settimana e per cognome il tuo nome. Tutto complicato, come sempre. Sono solo cambiate le stagioni, passati i giorni ed i mesi. Siamo solo trascorsi noi due: tu persa in quella via dove c'era la Coop che faceva offerte false, io in quel mercatino di merda a discutere della Glasnost come di un coloratissimo fallimento personale.

Commenti

  1. Non so nulla, sulla perdita, sul "dopo"... ma so che se fosse possibile dovresti riprendertela. Bhò, m'è venuta così, scusami se non mi sono fatta i fatti miei!

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  2. Maraptica, non credo che possiamo ridurre una perdita alla semplice assenza o presenza di una persona. Talvolta una persona non c'è e la sentiamo comunque vicina, altre volte invece è vicina costantemente ma sembra un qualcosa di estraneo, lontano. Capita, qualche volta, che non perdiamo le persone, ma pezzi di queste persone, oppure le idee che noi ci eravamo fatti su di esse dobbiamo necessariamente lasciarle e vivere quello che c'è, oppure decidere serenamente di non viverlo.
    Quello che scrivo non so nemmeno io se esiste, perché molti elementi sono reali, altri sono quelli che avrei voluto vivere, molti altri quelli che non ho vissuto. Scrivo facendo un minestrone di tutto. Questo implica il fatto che le persone di cui parlo, sono esseri ipotetici, e non è quindi solo la mia vita, ma quella un po' di tutti. Più che stralci di vita vissuta, è uno spaccato di quello che è stato, quello che non è stato e quello che mai sarà. È una realtà più onirica credo. D'altronde che poesia c'è, cosa ancora ha da raccontare, l'ossequiosa routine quotidiana?
    Ti ringrazio per essere passata ed aver letto. Guido.

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  3. Abbiamo scoperto il tuo nome, Guido. (Yuppi!)

    Si possono perdere così tante cose, la pazienza, una partita, il senno, la bussola, la verginità, un aereo, una persona cara, un'occasione, che non avremo mai il tempo di ricercarle tutte. Perchè perderci tempo allora? Ecco, toh, anche il tempo si può perdere...mmm...perfetto! Meglio rinunciare in principio, insomma.

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  4. Ciao Irene,

    ahimé non mi chiamo "la ballata di stroszek", ma ci sto lavorando.
    Hai ragione riguardo il rinunciare in anticipo, anche perché fa meno male!

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  5. Sai quanto si potrebbe perdere di quel che si potrebbe vivere se ci si rinunciasse in principio? Che qualcosa per strada lo si perde in ogni caso l'abbiamo capito, ma meglio perdere qualcosa dopo che perdere la possibilità di vivere un'esperienza. Era una sottile ironia, la mia.

    Buona serata, ballata di Stroszek (e io che pensavo ti chiamassi Bruno).

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  6. L'ironia l'avevo capita, ma forse è meglio realmente rinunciare da principio, immobilismo puro! E comunque Bruno non è mica male. Sembra il nome di un cane bonaccione.

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  7. Si, io ho sto vizio di concretizzare tutto. Pensare in modo spiccio, sempre. E non inteso come attaccamento a qualcosa di materiale ma... leggo e nella mia testa avevo già immaginato lei. era tutto così reale, non mi è passato nemmeno per l'anticamera del cervello che qualcosa potesse appartenere all'immaginazione...
    p.s. Bruno è brutto assai come nome e non posso fare a meno di pensare che una volta, sull'elenco, lessi di un certo "Ammazzalorso Bruno in Via Parco Nazionale d'Abruzzo", voglio dire... i genitori non sarebbero da ammazzare?!

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  8. Forse non è il caso di dire che è frutto solo dell'immaginazione, è più un collage di stagioni e periodi passati, di strade che ho percorso, di quelle che percorro e così anche i volti. È un tagliare ed incollare pezzi della mia vita e metterli insieme. Quindi fondamentalmente tutto questo esiste, solo non è riconducibile a nessuna unità, a nessuna persona, a nessun luogo...E quasi quasi sarebbe bello chiamarsi Bruno.

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