Via da qui, verso la notte

Sono in metropolitana. Ascolto Giuni Russo della quale ricorre l'anniversario della morte. "Chissà in quanti ricordano in questi giorni le sue canzoni" - penso tra me e me mentre il vagone sferraglia, i freni mordono i binari per la banchina prossima, sotterranea.

"Ti ho scritto già una cartolina
e penso ancora ai miei parenti
che svernavano a Rapallo, insieme.
Good good-bye, Amsterdam!"

Quanti anni saranno passati da queste sperimentazioni? 30 anni? Forse di più. E il mondo è completamente cambiato. Noi siamo completamente cambiati. In quegli anni sbarcava Senna in Formula Uno e si insediava il primo Governo socialista della storia italiana, con Craxi a Palazzo Chigi e i democristiani saldamente agli Esteri, li peggio mortacci loro. Credo che ancora andassero di moda i Levi's e la "strategia della tensione" aveva ceduto il passo ai led e ai neon delle balere.
Sulle scale mobili sembriamo un branco di pesci pilota, in direzione ostinata seguendo chissà quale Bahamut. Vengo da 10, 12, 13 ore di lavoro - nemmeno più ricordo quante. Mi volto stancamente con lo sguardo nella scala adiacente, che sale anch'essa. C'è una ragazza con le cuffiette poco più in basso. Né magra, né grassa. Né brutta ma neppure bella. Un taglio di capelli indecifrabilmente anonimo e il volto senza un filo di trucco. Si dondola seguendo il ritmo di ciò che sta ascoltando. Ad un tratto sorride e muove le labbra. Parla da sola. Forse canticchia credendo di non essere vista. Hanno un follia tutta loro le persone che riescono ancora a ridere da sole. Ed è una specie di bellezza quella dipinta nel volto di chi ride credendo di non essere visto da nessuno. Sono il guardone di una piccola felicità di cui anch'io mi sono involontariamente nutrito.

"Portami a ballare oppure altrove
ma portami via da qui,
per le strade che sai,
verso la notte.
Non mi abbandonare al mio silenzio"

Mi avvolge la luce e divento un fuso con essa mentre, fioca, illumina i caseggiati e le antenne rinsecchite dei tetti di Roma nord. Ora quasi annego in un piccolo ricordo: Mario che ci legge Questa è l'acqua di Foster Wallace, in quel convivio serale nella periferia di Bologna. Quella cena che Maura sapeva sarebbe stata l'ultima tutti insieme; l'ultima prima delle partenze e delle fughe storiche. Io ero lì che non sapevo che dire, cercando un alibi, cercando di nascondermi nel bicchiere di vino. Sono trascorsi degli anni. Faccio un lavoro che richiede la cravatta almeno 3 volte alla settimana. Sono esaurito almeno il triplo di quanto lo fossi all'epoca. Certe volte parlo da solo. Dormo poco e male. Quella ragazza anonima che rideva sulle scale mobili, a quest'ora, avrà smesso di farlo tornando a quell'insana routine che certe volte, erroneamente, la prendiamo sul serio ostinandoci a chiamarla vita.

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