Un incontro familiare

Stavo aspettando Andrea sorseggiando un doppio caffè nero, indugiando lungo il bordo della tazzina con le labbra frementi come se dovessero gettarsi da un trampolino. Tornavo in Piazza Verdi dopo mesi d'assenza e tutto mi sembrava diverso. La "lei" di una coppia liberal-progressista seduta dinanzi a me, "baciava" in bocca il proprio american staffordshire terrier dopo che quest'ultimo aveva passato gli ultimi cinque minuti a leccarsi i testicoli, annoiato dai democratici discorsi dei padroni. In questo decadente tempo storico solo i cani – pensavo – sfoggiavano un minimo di radicale coscienza politica. Quando arrivò Andrea mi aggiornò degli ultimi avvenimenti: coppie "scoppiate", disagi accademici, pianificazione di futuri forse probabili, gli amici che hanno preso la loro strada chissà per dove. Da lì ad un paio d'ore, avremmo cercato di riunire i cocci umani, residui bellici di anni trascorsi; di un periodo in cui avevamo più forza, più sogni e audacia.
Ci riunimmo, in Via Riva di Reno, in uno di quei cadenti palazzoni del dopoguerra, tenuti in piedi da non si sa quale artificio dopo generazioni e generazioni di studenti. Eravamo insieme intorno ad un piatto, facendo spazio a facezie, ricordi e scherzi per tenerci occupati. Come piccoli pesci pilota, ognuno aveva seguito istintivamente la direzione delle proprie inclinazioni, continuando per un solco già tracciato e che ci stava conducendo irrimediabilmente lontani.
Buttavo giù l'ultimo sorso di vino mentre fuori dalla finestra il freddo aveva guadagnato un buon margine sul sole di dicembre, ormai tramontato da diverse ore. Eravamo riusciti a mettere in piedi una serata che fino a quattro anni fa avremmo considerato una consuetudine. Eravamo chiusi in quella stanza, sapendo che di lì a qualche ora avremmo rimesso centinaia di chilometri in mezzo ai nostri ricordi. Ci guardavamo in volto ed eravamo irrimediabilmente cambiati, nonostante provassimo a fingere di aver lasciato tutto come quando ci salutammo, quell'ultima volta. Ci avevano cambiato gli obblighi, le delusioni e le aspettative tradite – solo tu trovasti il coraggio per dirmelo all'orecchio, in tarda serata. Era un bilancio, forse sommario, di quell'assaggio di vita che sono in genere i venticinque anni.
Ma ti ricordi quella notte di cinque anni fa? Fuori aveva imbiancato ed io dovevo tornare dall'altra parte della città. Mi pregasti – abbracciandomi – di stare attento.

Commenti

  1. Potrei girarti la stessa domanda che mi hai fatto tu, invece provo a dirti cos'è per me un ricordo. Qualcosa che giace nel limbo, vivo come fosse presente... ma intoccabile. Lontano nella sue esecuzione fuggita, bruciante con la sua presenza prepotente. Almeno per me.

    RispondiElimina

Posta un commento

Post più popolari