Una domanda e tre momenti.

Doposcuola. Io sopra una bicicletta sgangherata, con una molletta a fermare una carta (carta di tipo "piacentina" per giocare a briscola) messa tra i raggi per fare più rumore. Sto gareggiando alla morte, manco fosse una volata del Giro d'Italia, con altre dieci persone. Fuori pioveva. Per guadagnare posizioni prima di entrare dentro ad un tunnel di un condominio con i garage, cerco di accelerare più degli altri e la forza centrifuga, la pioggia che aveva inumidito la bici, le ruote indecentemente piatte ed una serie di altri fattori "tecnici" che non sto qui ad elencare, mi fa volare per terra e con me altre cinque o sei persone. Uno sopra l'altro e le bici distrutte (e rimesse a posto a martellate). Io schioppai contro un garage. Feci una botta della madonna e non è da escludere che le bestemmie le sentirono pure fuori città. Non ricordo se è accaduto realmente ma mi sembra un'immagine che è plausibilmente in grado di completare la storia: mio padre che, vedendomi tornare a casa con le ginocchia aperte e sanguinanti, lascia il privilegio di menarmici sopra a mia madre.

Un'estate afosa. Domenica pomeriggio o forse domenica mattina. Siamo in piazzetta e ci sono i soliti, compresa la noia mortale di quando si è piccoli e le giornate sembrano interminabili. Invece di giocare a giretto schiaffando in porta il più scarso di noi col pallone, decidiamo di farci la fotografia: in fila serrata ed ordinata, disposti lungo i palazzoni popolari che fece costruire Mussolini, mani rigorosamente lungo i fianchi e quello con la puntata più forte a tirare il pallone da una decina di metri di distanza. È un gioco terribile e sadico, e funziona lasciando, autonomamente e senza barare, i gioielli di famiglia, naso e gli zigomi nelle mani del fato. Alla fine ridono tutti meno quello che viene colpito. Un'immagine coerente con l'ambiente: in un palazzo comunale qualche metro più in là, troneggia una scritta in un inglese sgrammaticato e fatta con una bomboletta: "east side daly city".

Autunno piovoso. Con Matteo non c'è un grande rapporto, solo complicità ed il classico cameratismo stronzo tra maschi con scompensi ormonali non indifferenti. Siamo io, lui, una venuta dall'Est pochi mesi prima e l'amica matta che una volta vidi prendersi a botte a Napoli (non mi chiedete come siamo arrivati a Napoli e come sono arrivato a vederla prendersi a botte perché è una domanda che aprirebbe un capitolo a parte). La sensazione è che vogliano tirarmi dentro un affaire grazie al quale io e Matteo chiediamo un mondo e mezzo e 'ste due ce lo danno senza fiatare. Per una timidezza mascherata con alcune storie che non stavano in piedi, io faccio il classico "palo" mentre 'sti tre girano l'angolo dietro la scuola, nascondendosi in un sottoscala. Un dettaglio: ricordo il cielo grigio che buttava sulla mia testa delle gocce sporadiche e fastidiose, preannunciatrici di una stagione di scoperta, pianti e paranoie; un periodo di rivolgimenti adolescenziali del quale fui autocosciente solo tre o quattro anni dopo.

Questi erano i primi tre "momenti", rievocati senza pensarci troppo, in risposta alla domanda: "cosa facevo prima dei Social Network?

Commenti

  1. Prima dei social network di sicuro c'erano meno paranoie.
    Sarà per questo che ho solo un blog e prima bazzicavo su twitter, ma ahime anche lì troppe paranoie.

    Adesso la storia della rissa di Napoli, please :D

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    1. I dettagli della rissa tra signorine a Napoli è da blog di basso bordo! Qua siamo ad un livello giusto un dito sopra ahaha (:

      G.

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  2. Sarà che siamo appartenuti alla stessa generazione ma mi ritrovo nei tuoi flash mentali e un po mi scappa da ridere, un po vorrei "girare l'angolo" e ricaderci dentro. Prima dei social facevo tutto quello che, fortunatamente, sono riuscita a mantenere nella mia vita. Personeacuivogliobenerisatelacrimecinemanimaliabbraccilibribelliemenobelli.... :)

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    1. Ma quei momenti sono ancora lì, fragili.
      Un passato struggente che si rompe se lo si prova a toccare.

      G.

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