Ripensare alle lacrime del branco.

Erano notti di stelle senza fine durante quell'estate calda del novantasette, quando attendevamo con pazienza gli irrigatori a darci refrigerio, quando rincorrevamo la Luna e andavamo a caccia di stelle e sogni. Brancolavamo come lupi nelle notti quando era tardi per dormire e presto per ricominciare a vivere la routine del nuovo giorno; quando arrivavano le telefonate storiche e le incazzature di tua madre che non ti vedeva da giorni. Quella notte che organizzammo un auto per andare a sentire Guccini, fu una sera senza fine di tira e molla, discussioni infinite sul da farsi e avventure soltanto rimandate per berci sopra un altro bicchiere, l'ennesimo. I discorsi storici alle quattro del mattino da Pio, incazzato con la modernità ma con una conoscenza pratica da far spavento. Bighellonare di strada in strada fino al bar con l'insegna arancione, quello che di notte sembrava sempre chiuso ma dentro potevi trovarci una città e mezza: dal boxeur alcolizzato, alla puttana che raccontava storie assurde ma piangeva pensando al figlio lontano; dal nipote del camorrista, all'impeccabile sorriso del tipo dietro al bancone che le ha viste proprio tutte. Il nostro era un mondo sommerso, sotterraneo e che davanti al giorno scompariva per lasciare spazio alla strana routine fatta di anime che trascinavano la propria carcassa durante le otto ore, le pause pranzo, i cartellini da timbrare, le mutande da lavare, le lavatrici da caricare e scaricare, i bestemmioni da tirare al cielo, le domeniche allo stadio, i quattro in Matematica, il portare a seppellire i nostri morti e piangere un fiume.
Questa sequela di eventi aleatori è rimasta pressoché invariata. Questo trascinarci non ci abbandona, anzi, si fa sempre più cupo ed inesorabile. Nel tentativo di irreggimentarci, stiamo perdendo le notti di plenilunio, non abbaiamo più alla volta stellata, non piangiamo più sul vino versato, abbiamo smesso di fare a pugni e di sparlare in merito al presunto carattere progressista dei carri armati. Pensiamo al futuro per tenerci occupati, per non lasciarci scampo mentre lasciamo per strada tutti quei ricordi tragicamente provinciali. Perché deve essere assurdo ricordare tutto questo? Perché non deve più avere significato dopo un certo numero di primavere? Le nostre anime immortali sono rivolte ancora lì, stabili a ricordare quella giovinezza romantica che non aveva bisogno di interrogarsi sul domani; che non aveva bisogno di costruirsi problemi inutili. Io tra un mese o un anno cosa farò? In quale strada passeggerò? Dove andrò a prendere il caffè appena alzato? Dove costruirò il giaciglio e la tana?
In un mondo disperatamente transeunte, si interroga sul futuro anche l'Universo.

Commenti

  1. Io da giovane mi facevo domande sul futuro molto più di adesso
    una volta che si è scelta la propria strada non si ha più questa grande curiosità per ciò che sarà

    RispondiElimina
  2. Perché scrivi se non ne hai voglia?

    RispondiElimina
    Risposte
    1. È come riordinare. Conosco pochissime persone che amano riordinare, pulire ecc. Ogni tanto mi metto di impegno e decido di evitare la confusione: areo la stanza, raccolgo i fogli con alcune idee sparse, qualche immagine, e poi metto tutto a posto qui. Funziona.

      G.

      Elimina

Posta un commento

Post più popolari